Questa sera, più che sulle letture, l’omelia è per dare una comunicazione importante per la nostra Comunità Pastorale. Il Vescovo, da settembre, mi ha chiamato a continuare il mio servizio alla Diocesi in Parrocchie diverse da queste.

Tre punti: 1. Cronistoria del trasferimento. 2. La nuova destinazione. 3. Il mio stato d’animo.

  1. La cronistoria. Venerdì 17 marzo il Vicario episcopale Monsignor Agnesi mi ha telefo­nato per dirmi che voleva incontrarmi l’indomani. A qualche mia domanda esplorativa mi ha risposto di stare tranquillo. Bisogna sapere però che nel linguaggio ecclesialese “stai tranquillo” vuol dire “preoccupati”! E così sabato 18, rispettando i miei orari perché sarei do­vuto andare a Coarezza per il Catechismo, è venuto a trovarmi e mi ha proposto di la­sciare la Comunità Pastorale per tornare a fare il parroco. Ho dato la mia disponibilità. Sono seguiti altri contatti, sempre e solo telefonici, nei quali si confermava quanto deciso nelle alte sfere con la raccomandazione di tenere la notizia riservata fino a martedì 30 maggio quando sono stato autorizzato a parlarne con la Diaconia (don Basilio già era stato informato) e a prendere contatti con il parroco che dovrò sostituire.
  2. La nuova destinazione. E’ Valganna altitudine 460 metri (qui siamo a 282) estensione 12,48 chilometri quadrati (qui sono 38,45). Si tratta di una Unità pastorale di circa 1.500 abitanti (anime, si diceva una volta) formata da due parrocchie: Ganna, patrono San Ge­molo, e Ghirla, patrono San Cristoforo. Sono stato ad ammirare la nova sposa lunedì 5, il parroco don Mario Galmarini mi ha portato a vedere diverse Chiese, mi ha offerto anche il pranzo (ottima la pasta ai moscardini) ma non ho potuto ammirare tutte le sue bellezze paesaggistiche perché pioveva e faceva un gran freddo. Anche lì ci sono strade strette e prevedo già qualche ferita alla Micra EN 507 SF.
  3. Il mio stato d’animo. E’ come un mare agitato dove si muovono sentimenti contrastanti, onde impetuose che si combattono tra loro.

Anzitutto l’onda del dispiacere perché vi devo lasciare. Mi avete voluto, e mi volete, un gran bene; in 4 anni, solo 4 anni scarsi, si sono stabiliti (soprattutto a Mezzana e Coa­rezza) relazioni belle, appaganti che mi hanno dato serenità (una chimera la serenità quando fui adolescente), mi sono sentito accolto, valorizzato, stimato, anzi –come ho sem­pre detto ai Superiori- sovrastimato, valutato molto di più di quello che sono.

Non ho chiesto io di andare via, sarebbe stato da stolto lasciare per mia iniziativa tutto il bene e il bello che ho trovato in mezzo a voi, che voi mi avete regalato.

Mi scuso per qualche intemperanza, parole di troppo, arrabbiature eccesive, risposte sa­laci e anche se ho dato, in qualche caso, cattivo esempio.

C’è poi l’onda della preoccupazione perché devo reinventarmi la vita, reimpostare la casa, rinunciare a qualche abitudine, e soprattutto (ma questo non mi terrorizza) conoscere nuove persone, una realtà diversa, accogliere e rispettare le tradizioni che troverò perché, l’ho ripetuto più di una volta in questi ultimi tempi, tutte le Parrocchie si assomigliano, ma non ce ne è una uguale ad un’altra, come i figli, come i fratelli e le sorelle. Che noia mor­tale sarebbe se tutte le Parrocchie fossero uguali!

Dunque onda del dispiacere, della preoccupazione, ma anche quella che chiamo della po­liparrocchia. Infatti se la poligamia è peccato e indice di una cultura retrograda, la polipar­rocchia, cioè amare più Parrocchie, è lecita e consentita. Non ha mai pianto di nostalgia per quello che ho lasciato in questi 42 anni di sacerdozio, anche se ho sempre amato, e amo, i posti dove sono stato e dei quali ho ricordi stupendi; vi amerò sempre, anche da settembre, quando cuore e mente saranno dedicati alla Valganna e i passi camminati a 460 metri sul livello del mare. La poliparrocchia non è peccato!

Le onde impetuose che si combattono tra loro trovano però la bonaccia, il mare calmo perché, se è vero quello che ci dicevano una volta: “la voce dei Superiori è quella di Dio” sono, e siamo chiamati, a obbedire a questa voce, a questa volontà che non sempre riu­sciamo a comprendere subito, spesso non conforme alla nostra, ma sempre e solo per il nostro bene. Per comprenderla e accettarla dobbiamo, come scriveva San Paolo, lasciarci guidare “dallo Spirito di Dio per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!”.

Un Padre sempre e dovunque veglia sul nostro cammino. Per questo, come scrive il Sommo Poeta nel canto terzo del Paradiso, dobbiamo essere certi che solo “e’n la sua volontade è nostra pace”; non altrove, non in quello che vogliamo e piace a noi.

Un’ultima considerazione. Vi chiedo scusa per il caldo e l’afa che state sopportando. La Messa era programmata in Santuario (e quanto amo la Ghianda è noto, la prima Eucari­stia nella Comunità Pastorale l’ho celebrata lì venerdì 13 settembre 2013) ma ho chiesto al parroco di restare qui perché ci abito, ma soprattutto perché per 4 anni qui abbiamo ini­ziato gli incontri di Catechismo al martedì e al giovedì. Iniziavamo sempre, dopo il segno di Croce, trovando motivi per dire “grazie”: a volte li suggerivo io, altre invitavo i ragazzi a trovarne. E allora l’ultima onda è quella del grazie. Grazie a Dio che mi ha voluto prete, alla mia famiglia che mi ha cresciuto nella fede, agli educatori del Seminario, alle Comu­nità, ai sacerdoti, ai diaconi, alle suore che ho incontrato; grazie a voi e alle vostre pre­ghiere che mi accompagneranno in questi mesi e negli anni futuri.

Grazie, e “il naufragar m’è dolce in questo mare”, il mare della gratitudine perché è molto di più quello che si riceve di quanto si dà.

 don Angelo